Il Capo, la storia

La storia del quartiere Capo è segnata dalla presenza del fiume a carattere torrentizio, il Papireto, navigabile fino ad un certo tempo, che insieme al Kemonia delimitava la lingua di terra, detta “tutta porto”, la Panormus dei latini, che dalle montagne scendeva a mare.

il fiume Papireto

Il Papireto, alimentato dalla sorgente dei Dinisinni e da numerose polle d’acqua, scorreva lungo la depressione naturale, estesa per  tre chilometri, dai Denisinni al mare (attuali Piazza Peranni, via Gioiamia, Piazza Ss. Cosma e Damiano, Piazza Monte di Pietà, Piazza S. Onofrio, Via Venezia e Piazza Caracciolo dove fino al XVI sec.  penetrava il vecchio porto).
Ibn Hawqal, nell'anno 977, così ci descrive il Papireto,  che nelle attuali Piazza Peranni e Papireto assumeva l’aspetto di un lago:  « fiancheggiato di vasti terreni paludosi, i quali dove producono canna persiana, dove fanno degli stagni, dove dan luogo a buone aie di zucche.  Quivi stendesi anche una fondura tutta coperta di papiro, ch'è proprio la pianta di cui si fabbricano i rotoli di foglio da scrivere.  Io non so che il papiro d'Egitto abbia su la faccia della terra altro compagno che questo di Sicilia". Dalle piante di papiro il fiume prese il nome di Papireto
Un posto, a causa dell'aria malsana e maleodorante che vi si respirava per gli ultimi, i poveri e i derelitti. Un luogo per sfuggire alle persecuzioni, come i primi cristiani del IV – V secolo che si riparavano nel cimitero ipogeico della depressione nelle vicinanze della odierna porta D’Ossuna.

Periodi arabo e normanno

Gli Arabi conquistata Palermo nell’830 svilupparono fuori le mura punico-romane nuovi insediamenti: in prossimità della Cala edificarono la cittadella fortificata "al-Halisah" (la   Kalsa); a nord, oltre le vecchie mura greco-romane (verosimilmente esse correvano lungo le attuali  Via Gioeni,  Via S. Isidoro, Via Candelai  e Via Venezia)  ed oltre la depressione del fiume Papireto, crearono il vasto quartiere detto  dapprima  “degli  Schiavoni” “al-Harat-as-Saqalibah”, dal nome delle truppe mercenarie dalmate, a loro servizio, che lo abitarono. Dopo, lo stesso quartiere fu chiamato sari-al-qadì (strada del Kadì), nome volgarizzatosi in Seralcadio, con cui si indicava la strada che attraversava la città per tutta la sua lunghezza dalla campagna al porto della Cala.

Durante il periodo normanno in questa zona, ricca di lussureggianti giardini, ma dall’aria malsana, dopo la congiura dei nobili contro Guglielmo il Malo, vi si rifugiarono in massa gli arabi in case modeste dette: “casaline”.
Durante il regno di Federico II a causa delle sommosse anti arabe e la loro deportazione il Seralcadio tutto venne a svuotarsi malgrado gli incentivi ed i benefici concessi a chi voleva abitarvi.
Intensa l’attività in questo periodo di costruzione di edifici religiosi, citiamo le Chiese di S. Giovanni alla Guilla con l’annesso ospedale dei Pellegrini, la Chiesa di S. Agata alla Guilla, nel luogo dove i palermitani volevano, mistificando la verità storica, che la Santa catanese fosse nata e cresciuta.

Era proprio la Contrada della Guilla, in prossimità della Cattedrale, la zona più amata e frequentata della parte alta del Seralcadio in quel tempo. I ricchi e lussureggianti giardini, detti della “cuncuma” si tramanda che producessero i frutti e gli ortaggi più prelibati della città. Qui era allocato il primo “macello” di Palermo.
Ai normanni si devono ancora le costruzioni della Chiesa di S. Cristina la Vetere e della Chiesa San Gregorio Magno, edificata nello stesso posto dove lo stesso Papa aveva fatto costruire una chiesa, con i fondi avuti dalla madre la palermitana S. Silvia, poi distrutta dagli arabi.

Periodo dal XIV al XV sec.

Nei secoli successivi la parte alta del quartiere, per essere distinta dalle altre  (Conceria: dai conciatori di pelle che la abitavano: attuale  Via Napoli, Via Venezia;  Quartiere   della   Loggia,   dalle logge dei mercanti delle « nazioni estere », attuale Argenteria;  Rione S. Pietro: dalla vicina ma non più esistente chiesa di S. Pietro la Bagnara), venne chiamata Caput Seralcadi, come può leggersi in un contratto di enfiteusi del 21 gennaio 1366:” in quartierio Seralcadii in capite superiori...”
Successivamente rimase ad individuare questa parte del quartiere, attraversata dal corso centrale del Papireto, solo il nome “Capo”.

I terreni fertili e l’abbondanza dell’acqua favorirono in questa parte del Seralcadio l’agricoltura. Si coltivavano soprattutto legumi ed i giardini erano rigogliosi, le acque del fiume muovevano i mulini ed erano utilizzate dai conciatori di pelle, che si erano installati lungo le sue rive. Presente anche un fiorente artigianato organizzato anche geograficamente tanto da dare il nome alle strade in cui si concentravano le  botteghe.
Panorama completamente diverso durante i periodi di secca con l’aria resa irrespirabile dalle paludi e dagli acquitrini maleodoranti lungo il percorso del fiume che il Senato Palermitano, per sanificare l'area, decise nel 1489 di interrare, senza raggiungere a lavori ultimati nel 1498, il risultato sperato.

Il basso costo dei terreni favorì la costruzione di edifici soprattutto religiosi. Sono di questo periodo: la costruzione del complesso di S. Spirito (1354), Grancia (residenza estiva) dei Monaci Benedettini dell’Abbazia di San Martino delle Scale, la costruzione del palazzo Bartolotta di san Giuseppe, la costruzione della Chiesa di S. Ippolito e quella di S. Agostino, questa là dove sorgeva la chiesa normanna dedicata a S. Nicolò.

Alla fine del XV secolo risale la costruzione della Chiesa di S. Maria del Gesù al Capo detta S. Maruzza o dei “canceddi” (le ceste in vimini utilizzate per il trasporto con i muli”), la Chiesa di Maria SS. Della Mercede (1482), ad opera dei padri mercedari, sulla preesistente chiesa di S. Anna

Periodo dal XVI al XVIII secolo, bonifica ed urbanizzazione

Nella prima metà del secolo il quartiere fu interessato dai lavori di trasformazione della cinta muraria, progettata da Antonio Ferramolino. Di questa sono a noi pervenuti il tratto tra porta D’Ossuna (1655) e il bastione Papireto, oggi inglobato nel palazzo Guccia, ed il breve tratto lungo Via Mura di San Vito.
Nel 1581, con un’opera voluta dal Pretore Salazar, le acque del Papireto vennero convogliate verso il mare attraverso una canalizzazione sotterranea a circa 8 metri di profondità rispetto all'attuale piano stradale
Nel luglio del 1600 si diede il via all’altro intervento che modificherà il tessuto urbanistico ed economico del quartiere: la costruzione del taglio della Via Maqueda. Il Capo costituì una delle “quattro nobili parti” in cui la città venne divisa, assumendo i contorni che a noi sono pervenuti.
In un confronto tra la pianta della città di Braun e quella del XVII sec. potranno distinguersi, per la regolare orditura viaria, le zone di nuova edificazione.
Tra la fine del XVI ed il XVII secolo il Capo era tutto un cantiere. Risultando le nuove aree poco appetibili ai ricchi, accanto a veri e propri tuguri già esistenti, si eressero, le case, modeste, delle maestranze e della piccola e media borghesia mercantile, le Chiese di Ordini e Confraternite e pochi palazzi nobiliari.
I principi di Buoriposo (i Perpignano), una volta ricoperta la grande fondura con materiale di riporto, presero l’iniziativa di costruire sulle nuove aree edificabili, che per questo furono chiamate: « piano di Buonriposo ».
Sono stati costruiti nel XVI secolo: l’opificio della Panneria nel 1550, dal 1591 utilizzato come Monte dei Pegni, la Chiesa di S. Onofrio a metà del XVI secolo, la chiesa di San Marco (1566) su preesistente chiesa del XIII secolo, la Chiesa di San Rocco (1576) che aveva liberato il quartiere dalla peste, a valle della Guilla, La chiesa di S. Paolino dei Guarneri (1591) oggi Moschea e Palazzo Molinelli alla fine del XVI secolo.
E’ dello stesso periodo, tra 1591 e 1594, la costruzione del Noviziato dei Gesuiti, su progetto del Gesuita P. Natale Masuccio. Gaspare Palermo lo descrive come veramente sontuoso con un ampio cortile colonnato e lunghi e larghi corridoi ed annesso al giardino molto esteso e rigoglioso.
Sono stati costruiti nel XVII secolo: la Chiesa e Convento dell’Immacolata Concezione in Via Porta Carini, del 1604, su edifici preesistenti, la Chiesa dei SS. 40 Martiri Pisani (1605) dalla Nazione Pisana residente a Palermo, il Monastero di San Vito (1630) ora sede della Caserma dei Carabinieri "Carini", la Chiesa dei Ss. Quattro Coronati (1690) dalla Compagnia dei Muratori, Oratorio dei Ss. Pietro e Paolo (1697 -1698), Chiesa di S. Maria di Montevergini (1697). E’ del XVII secolo il Palazzo del Serenario.
Sono del XVIII secolo le costruzioni di: Chiesa dell’Angelo Custode (1701), Chiesa della Sacra Famiglia detta delle Cappuccinelle (1732), Porta Carini (1782) e Collegio di S. Maria del Giusino del 1788.

 

Dal XIX secolo ad oggi

Marginali gli interventi urbanistici dell’inizio del secolo XIX se si esclude la realizzazione, per volere del generale borbonico Giuseppe de Tschiudy, della Villa detta “papiretana” intitolata a Leopoldo, Conte di Siracusa, nella zona che degradava verso l’ormai prosciugato lago Papireto e la costruzione nel 1839 della Chiesa di S. Maria del Giusino.

Il quartiere fu teatro dei moti risorgimentali del 1860 con conseguenti distruzioni e saccheggi a spese di Chiese e Monasteri. La soppressione degli ordini religiosi determinò la crisi delle attività economiche che dipendevano dagli stessi e il cambio di destinazione d’uso dei loro edifici ed aree all’aperto di pertinenza, come il Monastero della Concezione adibito ad ospedale insieme al bastione aragonese utilizzato per ospitare i capannoni attrezzati a cliniche.

Tra la fine del XIX sec. e l’inizio del XX la zona periferica del quartiere venne a modificarsi per gli interventi di urbanizzazione ritenuti necessari alla espansione della città e per la costruzione delle grandi opere del teatro Massimo e del Palazzo di Giustizia.

L’intero rione S. Giuliano con la porta Maqueda (1780), il Monastero, la Chiesa di S. Giuliano (1679) e la Chiesa delle Stimmate, furono demoliti nel 1874 per costruire il Teatro Massimo.

La vecchia cinta muraria venne abbattuta lasciando a noi "brevi" testimonianze lungo il nuovo Corso A. Amedeo, nel bastione Papireto, e Porta Carini.  La piazza D. Peranni fu impiantata là dove prima sorgeva la  Villa “Papiretana”, qui nel 1951 i rigattieri, che facevano mercato in piazza Marmi, trasferirono le loro bancarelle dando vita al mercato delle pulci di Palermo.

Della Palermo capitale del liberty di inizio del secolo il quartiere ha una preziosa testimonianza nella decorazione a mosaico del prospetto del Panificio Morello in cui è raffigurata la giovane donna detta “a pupa ru capu” (1902 – 1908)

Il grande giardino dei Gesuiti fu tagliato dalla via Papireto, in quello che ne rimase fu creata piazza Noviziato, oggi unico polmone di verde nel quartiere; in questo nel 1936 fu costruita la Casa della Madre e del Fanciullo “Principessa Maria Pia di Savoia”. Sono di questo periodo la costruzione del Palazzo della Polizia Urbana e dell’Igiene in Piazza Aragonesi (1920), della Caserma dei Vigili del Fuoco I. Caramanna (1936) e del Sacrario dei Caduti (1937)

L’intervento più significativo della prima metà del secolo è stata la costruzione del Palazzo di Giustizia, eretto tra il 1938 – 57 al posto del bastione della Concezione.

Della fine del secolo è la costruzione della nuova Procura nel rispetto degli assetti viari preesistenti e il recupero urbanistico e la riqualificazione, ancora non completati, delle aree degradate per le distruzioni dovute alla seconda guerra mondiale e per l’incuria susseguente alla migrazione degli abitanti nella città nuova.